Opus #16

Opus #16

Un mix surreale di crisi esistenziali e tensione elettrica.

Qui, Uodi ci regala una sequenza di espressioni feline che sembrano un mix tra un fumetto in stile pop e un incubo graffitato sui muri di una metropolitana.

Gatti, ma non quelli che accarezzi sul divano. No, questi sono gatti incazzati, isterici, che sembrano in preda a un accesso di rabbia o forse solo all'effetto collaterale di troppe notti passate in strada, sotto la pioggia di fulmini stilizzati che costellano lo sfondo.

Ogni volto è una variazione sul tema della frustrazione. Le lacrime e i denti esagerati, sanguinanti, ti fanno chiedere cosa abbiano visto questi gatti per essere così sull'orlo del collasso nervoso. C’è una specie di disperazione urbana qui, un ruggito soffocato che si ripete come un loop di graffio e rabbia.

Le linee nere e rosse dominano la scena, taglienti e crude come graffi sull’asfalto. Anche se la composizione è rigida, con i volti allineati come fossero parte di un fumetto o di una sequenza animata, non c'è nulla di rassicurante.

Ogni gatto sembra vivere la sua lotta personale, una lotta che si riflette in dettagli minimi ma devastanti: i baffi elettrizzati, le lacrime che piovono come una maledizione, la mascella che si contrae di rabbia.

Ancora una volta, Uodi riesce a trasformare qualcosa di apparentemente banale, come il volto di un gatto, in una riflessione viscerale sul caos e sull'alienazione urbana.

E lo fa con quel suo tocco beffardo, quasi a dirti: "Pensavi fosse solo un altro gatto? No, amico. Qui c'è molto di più, ma non aspettarti di uscirne con la mente tranquilla."