Opus #17

Opus #17

Un fumetto esistenziale tra consumo e vuoto.

Eccoci di fronte a un'altra opera di Uodi, che questa volta sembra gridare dal vuoto cosmico, giocando con il concetto di "Spazio" in un senso che va oltre la fisica, verso il metafisico e il surreale. Con il suo bianco e nero spigoloso e nervoso, l’opera è un collage di simboli che sembrano disegnati direttamente dalla mente febbricitante di uno che ha appena viaggiato tra galassie interiori.

A sinistra, una testa gigantesca con una chioma intricata, quasi serpentiforme, che sembra scaturire direttamente dal cervello. Il sorriso affilato, un po’ malizioso e un po’ delirante, sembra voler divorare lo spazio circostante. Quest'uomo non si limita a osservare, vuole controllare, manipolare, conquistare. Ma cosa? Forse il vuoto, o il senso di nulla che spesso ci travolge.

A destra, un’altra figura più stilizzata, con una sorta di casco spaziale da sciamano del futuro. La postura è rilassata, ma l’aria di mistero e controllo suggerisce che questa figura non ha bisogno di esprimersi con la bocca: il gesto della mano dice tutto. È una sorta di saluto distorto o una benedizione aliena? Di certo, c'è qualcosa di ritualistico qui, come se questa figura fosse un sacerdote di un culto dimenticato o mai conosciuto, che opera al di là del tempo e dello spazio.

La parola “SPAZIO” scritta in modo così prominente non è lì solo per indicare il vuoto fisico tra gli oggetti, ma sembra piuttosto una riflessione sulla distanza tra le persone, le idee, le dimensioni. Uodi, ancora una volta, ci invita a esplorare le zone liminali della coscienza, facendoci domandare cosa accade quando il corpo e la mente sono spinti oltre i confini ordinari.

L’intero quadro è un’orgia di linee e simboli che si contorcono e si insinuano in ogni angolo, come un fiume sotterraneo di pensieri distorti. È arte che ti trascina nel suo universo assurdo e ti lascia lì, a fluttuare nel “spazio” della tua stessa mente.